una produzione Teatro dei Venti
Regia Stefano Tè
Drammaturgia Giulio Costa
Musiche Matteo Valenzi e Igino L. Caselgrandi
Con Francesca Figini, Antonio Santangelo, Igino L. Caselgrandi
SPETTACOLO FINALISTA PREMIO SCENARIO 2011
Lo spettacolo
La periferia è la dimensione spazio.
Scampia, quartiere all’estrema periferia Nord di Napoli, è il luogo più vicino al nostro immaginario. L’enorme sottoscala di uno dei tanti palazzoni, raro spazio d’ombra, dove le donne con la spesa si riparano dal caldo rovente rigettato dal cemento. Una zona di buco, al riparo dalle guardie, dove arriva solo l’eco storpiato del neomelodico. Zona franca usata una volta come deposito. Detersivi, saponi, vernici, carburanti, prodotti lucidanti, diluenti per cosmetici a riposo in taniche perfettamente impilate. L’odore del ragù si mischia di rimbalzo al puzzo di solvente.
La vita è la dimensione fisica.
Incastonati in questo spazio tre corpi. Impercettibili movimenti e scatti improvvisi tracciano linee dalle quali col passare del tempo è possibile leggere le tre storie che gradualmente si espongono, si manifestano apertamente, si confidano. Nessun contatto evidente tra loro ma è comune l’origine: l’esistenza al margine.
I pensieri si fanno suono e azione e così ci si addentra in vite inquinate, in storie lontane dal comune senso del bello, del ben fatto, del vivere secondo principi sani. In questo territorio si resta a somatizzare l’incuria dell’uomo regolare, sobrio, che ai margini getta il male odore, il tanto pieno di vuoto, gli avanzi, lontano dalle proprie necessità primarie.
L’attesa è la dimensione tempo.
Le vite in questo spazio sono ferme. Si muovono a ritroso, non procedono nel tempo. Incastrate in un luogo reale, gonfie di storie vere, ma senza un futuro immaginabile, un passo che conceda aria.
Le origini
Il Teatro dei Venti, da anni impegnato in progetti in bilico fra teatro e sociale, comincia ora un progetto che mira a confondere i confini fra i due ambiti, per creare un contenitore in cui
convivono norma e devianza, finzione e realtà, dentro e fuori.
Posto che le attività in campo sociale nascono con la volontà di dare stimoli a persone affette da differenti disagi, è altrettanto vero che da queste ultime si apprende la più pura e semplice
lezione di teatro, quella in cui il ‘qui e ora’ smette di essere teoria e diventa verità.
Da questa presa di coscienza deriva il progetto Senso Comune che si ispira direttamente alle storie degli utenti del Centro di Salute Mentale di Modena, dei detenuti della Casa di Reclusione
di Castelfranco Emilia e dei ragazzi della Casa di Reclusione per Minori di Nisida (Napoli). È un teatro che non propone la recita dei disagiati, ma una messa in scena del disagio attraverso il
lavoro di attori che da anni sono in relazione con loro.
Attraverso laboratori ispirati ai temi affrontati nella triade di Umberto Boccioni Gli stati d’animo (Quelli che restano, Quelli che vanno, Gli addii) sono nati materiali da studiare al pari di
un’opera di Beckett o di una coreografia di Pina Bausch: partiture fisiche, testi e scene, ideate e sperimentate in prima istanza da persone che vivono quotidianamente il disagio, diventano così
la base di lavoro degli attori e per lo spettacolo. L’imitazione è il primo passo, cui seguono la tecnica, la ripetizione e la precisione; lo scopo è portare sul palcoscenico quel magma emotivo
che si scatena stando a contatto con la purezza incosciente di persone considerate lontane dal ‘buon senso’.